Arpa jazz

Intervista a Marcella Carboni e Raoul Moretti

Marcellae RaoulMarcella Carboni  e  Raoul Moretti  al Festival dell’arpa di Rio de Janeiro

L’intervista questa volta è “doppia” se così vogliamo dire ed andiamo alla conoscenza di due giovani emergenti che ormai potremmo anche definire “giovani conferme” del panorama musicale internazionale: Marcella Carboni e Raoul Moretti entrambi uniti da quell’arpa amplificata dal colore blu cobalto, ma con percorsi assolutamente diversi che tuttavia a volte si incrociano…vediamo come e dove! Cominciamo dall’ inizio se volete… anche voi avete fatto il percorso classico di studi in Conservatorio?

M: Certo, diploma e vari corsi di perfezionamento. E ancora oggi, pur suonando altri generi credo che una sana dose di tecnica classica sia obbligatoria per avere una mano (e dei piedi!) che non ti abbandonano nel momento del bisogno.

R: Sì, il percorso del vecchio ordinamento all’interno del Conservatorio, iniziato piuttosto tardi (15 anni), e che a 23 anni ,quando ho sostenuto il diploma,mi ha lasciato in dono, grazie ovviamente ai miei insegnanti Lisetta Rossi ed Emanuela degli Esposti, il metodo, il gusto musicale, la passione e la caparbietà per continuare.

Cosa ha fatto scattare in voi la “scintilla” per qualcosa di diverso dall’arpa classica?

M: Sicuramente è stata una passione nata dall’ascolto di tanti altri generi. Fin da bambina mia madre mi portava a spettacoli di tutti i tipi, concerti di musica classica, jazz, cantautori, opera, musica antica o contemporanea, ma anche tanto teatro, dal classico all’avanguardia. Crescendo ho sviluppato una passione per il jazz soprattutto perché mi piaceva la libertà e la poca prevedibilità della musica. Fino al ’98 era una passione solo di ascolto, ma quando ho visto Park Stickney suonare jazz è stato come se mi avesse aperto una porta e invitato ad entrare. Tra l’altro è stato proprio in quel seminario di arpa jazz a Perugia, organizzato dalla Salvi e da Umbria Jazz, che ho incontrato Raoul per la prima volta.

R: E’ qualcosa che è scattato negli ultimi due anni di corso, ma che era legato più a fattori extra-accademici. Mi ero accostato ad altri mondi artistici , teatro e teatro-danza, e li ho messi in connessione: il teatro mi ha dato elementi che mi hanno permesso di “interfacciarmi” in maniera diversa sul palco in un concerto o in altro contesto, nel frattempo ho sentito l’esigenza di sconfiggere “la sindrome da partitura” per avere maggiore libertà e stimolare il lato creativo, per esempio per creare la musica per spettacoli o reading.

Ricordate la prima volta che avete appoggiato le mani sull’arpa elettrica e che tipo di sensazione avete avuto?

M: Quando ho amplificato la mia arpa per la prima volta mi sono sentita potente. Suonavo con sassofono e basso elettrico, ero finalmente alla pari. Poi con l’arpa elettrica, o elettroacustica, hai la sensazione che ogni nota abbia un peso proprio. Ci si mette un po’ per capire come gestire i suoni, ma poi è davvero un piacere poter essere così presenti.

R: é stato su una solid body celtica e la sensazione è stata quella di un mondo da scoprire con infinite possibilità per potersi esprimere, solo già a livello di gamme di dinamiche mi aveva colpito.

Per entrambi quindi il percorso è iniziato molti anni addietro, com’è stato cercare di muoversi sulle strade del nostro Paese con idee così diverse dal consueto?

M: Per quel che mi riguarda non è solo una questione del nostro paese, le possibilità dell’arpa sono davvero poco riconosciute. Il repertorio classico occupa il 90% della programmazione dei concerti d’arpa. Farsi strada con il jazz in uno spazio così stretto è difficile e poco edificante. Quindi per tanti anni io ho lavorato in festival e programmazioni dove non avevano mai visto un’arpa. Per alcuni versi il risultato musicale e l’unicità della proposta sono stati un punto di interesse ma è stato e continua ad essere faticoso proporre qualcosa di totalmente sconosciuto e far comprendere le enormi potenzialità improvvisative del nostro strumento.

R: Il percorso musicale quando diventa la tua professione è anche percorso di vita, gli incontri, le esperienze e le emozioni che ti danno risultano determinanti nell’indirizzarti, non ho mai cercato compromessi, per lo meno sui progetti musicali che ho creato, e sul percorso via via comprendi quali cose reputi importanti a discapito di altre. Quando crei qualcosa logico è che lo vuoi condividere con più persone possibili, ma non perché ti debbano muovere sogni di grandezza, piuttosto perché penso che comunicare sia il fine della nostra professione; ma bisogna avere anche la consapevolezza che di per sé l’arpa è uno strumento non troppo popolare e con cliché ben precisi che già ha difficoltà a trovare spazio nelle stagioni concertistiche classiche. Spesso mi sono reso conto per esempio che alcuni miei progetti risultano di difficile collocazione a livello di genere; come persistono allo stesso tempo dei pregiudizi sull’arpa, a dire il vero più tra gli addetti ai lavori che sul pubblico comune che sicuramente ha un atteggiamento più di stupore e meno conservativo. Personalmente oltre ai miei progetti mi sono prefissato di portare l’arpa in ambiti in cui non molto spesso è presente, per lo meno in Italia, per esempio pop, rock, avant-guarde, elettronica etc. Penso che facendo conoscere le potenzialità dello strumento e dando più visibilità all’arpa ne guadagna tutto il settore creando nuove opportunità.

Vorrei aggiungere che, escludendo esempi di alcuni Paesi all’estero, dove l’arpa è presente nel jazz da decenni oppure negli show televisivi o in alcune band importanti, anche in Italia c’è chi si è mosso negli anni in territori di ricerca ed allo stesso tempo ne ha dato più o meno visibilità; mi piace per esempio ricordare Vincenzo Zitello, con il quale condivido da anni lunghe chiacchierate: è un professionista rigoroso ed è mosso sempre da uno spirito di ricerca, ma il mondo dell’arpa per lo meno accademico ci ha impiegato quasi 30 anni a riconoscere comunque il suo contributo. E ci sono altri nomi, non per forza deve piacere a livello di gusto personale, ciò che suonano, ma è importante riconoscerne il valore a livello di apporto all’arpa per quanto riguarda lo sviluppo e la ricerca da una parte e la popolarità e visibilità dall’altra.

Mi parlate dei vostri progetti artistici? Per esempio Marcella so che hai diverse formazioni duo, trio ed anche Raoul hai differenti proposte in cui utilizzi anche l’arpa celtica elettrica, ed una passione fortissima per l’arpa e la musica dell’America del sud su cui hai svolto la tua tesi di laurea in Scienze Politiche…

M:Suonare jazz significa incontrare musicisti e condividere un percorso, è la parte del mio lavoro che mi piace di più. Alcuni incontri poi sono speciali, penso a Max De Aloe che suona nel jazz uno strumento raro come l’arpa, l’armonica cromatica, ed è diventato uno dei migliori armonicisti in Europa, grazie al suo talento e alla perseveranza. Insieme ci divertiamo e questo si sente nella nostra musica e il disco Pop Harp è stato solo l’inizio. Mi capita spesso di suonare con musicisti diversi, alcune volte nascono nuove collaborazioni, altre sono solo concerti di passaggio. Nel duo con la cantante Elisabetta Antonini, dalle prime prove fu ben chiaro che la nostra musica sarebbe cresciuta con noi, abbiamo lavorato sodo e oltre il disco NUANCE ci sono stati moltissimi concerti. Poi ci sono vecchie e nuove collaborazioni che si trasformano, penso al sax di Simone Dionigi Pala o alla musica ebraica del flautista cantante Enrico Fink.

R: Ci sono i miei progetti e le collaborazioni. Partiamo dai primi: ora ciò che mi sta assorbendo ed in questo momento mi rappresenta pienamente è il primo lavoro da solista. Harpscapes per arpa elettrica più live electronics e live visuals che controllo sempre dal vivo. Nasce dal percorso di ricerca che ho sviluppato per quasi un decennio all’interno del progetto Blue Silk. A metà luglio uscirà anche il cd, in cui ci sono anche delle preziose collaborazioni. Le musiche sono composte ed arrangiate dal sottoscritto. Il progetto sarà presente al Congresso Mondiale dell’arpa di Sydney. Poi c’è Vibrarpa, il duo arpa e vibrafono che condivido con Marco Bianchi. E’ un duo unico nel suo genere, più di 10 anni fa abbiamo aperto una strada, inventando una formazione che non esisteva e quindi anche un repertorio. Ora portiamo in giro i nostri pezzi e devo dire che gli apprezzamenti del pubblico sono incredibilmente positivi, l’unica nota un po’ stonata è che si fa fatica a trovare spazi in cui suonare, al di là dei festival dedicati allo strumento. Poi c’è Essential Duo con la cantante Tullia Barbera, con cui ci dilettiamo a rivestire di un nuovo abito, seppur rispettoso dell’originale, canzoni pop e rock del repertorio italiano ed internazionale. E’ un duo che mi ha permesso di suonare in locations incredibili, in importanti eventi e manifestazioni, volando fino in Cina.

Le collaborazioni attuali invece sono quelle con il cantante Beppe Dettori (ex voce dei Tazenda); con la sua band faremo le piazze sarde e non solo questa estate, lanciando anche il nuovo singolo che vanta tra gli altri la partecipazioni di Paolo Fresu e dei Tenores de’ Bitti. Con Beppe e con il fisarmonicista Manuel Rossi Cabizza abbiamo anche un progetto di world music che fonde radici diverse (dalla sarda alla celtica) in una nuova visione. Con l’incredibile cantante Claudio Milano (mente del progetto) , l’arpista Vincenzo Zitello e il percussionista Pierangelo Pandiscia condivido invece il progetto Nichelodeon. Il cd doppio “Bath Salts” , in cui hanno suonato sia artisti storici del prog rock e dell’avant-guard italiana sia giovani ma già affermati dell’ambiente dell’elettronica e della contemporanea, sta avendo fantastiche recensioni in tutto il mondo, è un lavoro che mi ha particolarmente coinvolto nella sua genesi e che spero presto di portare sul palco in duo con Claudio.

Hai accennato alla America del Sud, ne ho parlato recentemente in un articolo sempre per il sito dell’associazione e non voglio dilungarmi, rimandando lì per i dettagli. Sto cercando di dare continuità al Festival realizzato l’anno scorso, portando in Italia straordinari arpisti dei vari paesi sudamericani facendo conoscere le loro tradizioni ma anche i nuovi percorsi. Inoltre organizzando una master class diamo un’importante occasione agli arpisti italiani di conoscere repertori e tecniche diverse. Inoltre propongo nei Conservatori il mio lavoro di tesi, premiato in Paraguay, sulla storia dell’arpa paraguaiana. Con Lincoln Almada abbiamo in cantiere anche di fare qualcosa insieme.

Si può dire che avete viaggiato con la vostra arpa per mezzo mondo (o forse non solo mezzo ma anche intero mondo!) portando la vostra conoscenza nei più svariati Paesi e città, da Roma a New York, dal Paraguay a Milano, in qualche occasione i vostri palchi si sono incrociati come al recente Festival Mondiale dell’Arpa di Rio de Janeiro…ci raccontate le esperienze che più vi hanno emozionato, o che per qualche motivo sono indelebili nei vostri ricordi?

M: Viaggiare con la propria arpa sarebbe un sogno, purtroppo ci accontentiamo di suonare arpe varie in giro per il mondo, qualche volta va bene, altre meno. Quest’anno per me è stato intenso, sono stata 40 giorni a New York, ho potuto fare tre concerti e in uno di questi sono stata ospite di musicisti favolosi, ero al settimo cielo e ho suonato alla grande. Un po’ come quando parli una lingua straniera con qualcuno madrelingua, anche il tuo modo di parlare migliora.

Anche a Rio è andata molto bene, ma se devo raccontarti il concerto più emozionante non ho dubbi. È stato in Sardegna, sulla spiaggia di Santa Teresa di Gallura all’alba per il festival Jazz Musica sulle Bocche. Suonare in solo la mia musica mentre sorge il sole con il suono del mare alle spalle, davanti ad un pubblico che si è svegliato alle 5 o ha dormito in spiaggia solo per sentirti è stata un’emozione enorme.

R: Viaggiare per suonare è un’attività che spero di incrementare via via, che ora per motivi famigliari sto limitando. Il viaggio si sa di per sé è una ricchezza, farlo per andare a comunicare e mettersi in connessione suonando la propria musica è inestimabile. L’essenza della vita forse è proprio nelle relazioni tra le persone, e queste occasioni generano sempre un caleidoscopio di emozioni e sensazioni che ci si porta poi appresso, quindi rimangono indelebili. Harpscapes nasce proprio da ciò. Come arpista l’esperienza di suonare di fronte al pubblico sudamericano è davvero speciale. Capita di suonare in teatri da più di mille persone, pieni già da un’ora prima dell’inizio dei concerti, persone che poi ti fanno sentire il loro calore. Ma è un’ esperienza indimenticabile anche quando suoni in una sala da 50 posti e a fine concerto puoi guardare negli occhi gli spettatori e capisci che è stata una serata “speciale”. Come è indimenticabile fare un’esperienza di “massa”, far ballare una piazza con migliaia di persone o aver avuto la possibilità di suonare in un varietà in diretta tv con 10 milioni di spettatori di media tutti i sabati. Esperienze diverse ma ognuna carica del suo significato.

Anche che la Sardegna vi unisce e siete entrambi molto attivi sul territorio isolano, presto si terranno i corsi di Nuoro Jazz…vuoi darci qualche informazione Marcella per tutti coloro che seguono con passione questo evento?

M: Con Raoul ci siamo inseguiti anche geograficamente, sono stata io la prima ad andare a vivere in Lombardia, poi rientrata in Sardegna Raoul ha iniziato a scoprire la mia bella terra. E oggi da Roma lo invidio un po’ perché può vivere a Cagliari nella mia città. Ma veniamo a Nuoro, i seminari saranno da 20 al 30 agosto e come ormai da tre anni la mia classe di arpa è inserita tra una decina di corsi di vari strumenti (piano, batteria, contrabbasso, voce, chitarra…). È una immersione nella musica jazz, consigliabile a chi vuole farsi un’idea, a chi sta iniziando ad esplorare l’armonia e l’improvvisazione, a chi suona già jazz o musica moderna e vuole incontrare musicisti con cui crescere. In più quest’anno ci sarà un concerto e una masterclass con il talentuoso arpista colombiano Edmar Castaneda che è il più riconosciuto arpista jazz al mondo. Anche io ho iniziato a Nuoro Jazz tanti anni fa ed è una bella esperienza musicale ed umana. Per le informazioni sul corso di arpa potete andare sulla mia pagina facebook o sul mio sito.

R: Tra i vari incroci con Marcella la Sardegna e Cagliari hanno avuto un particolare ruolo. Mentre per lei è terra di origine per me è diventata terra di arrivo, per un periodo l’abbiamo condivisa, ultimamente è più facile incontrarsi fuori, come a Rio per esempio, che a Cagliari, quest’anno è capitato che quando veniva lei non ci fossi io… Ci vedremo sicuramente a Nuoro jazz.

Dal 2004 ho iniziato a frequentare l’isola, via via sempre più frequentemente e da un anno circa risiedo abbastanza stabilmente e quindi si stanno intrecciando collaborazioni anche musicali, in un territorio che mi affascina per geografia, storia, e per una scena musicale molto propositiva.

Sempre più arpisti si avvicinano al mondo dell’arpa elettrica, alcuni per il jazz, altri per il pop e per le nuove tendenze che si legano alla sfera celtica, avete qualche consiglio da dare alle nuove generazioni?

M: Forse uno solo, cercare il proprio suono, crearsi il proprio stile. Arpa elettrica, celtica o classica che sia, l’importante per un musicista che vuole sperimentare è ricercare una propria personalità musicale. E questo lo si ottiene solo ascoltando molti musicisti diversi (non solo arpe) e copiando spudoratamente ciò che piace e cucendosi addosso il proprio stile.

R: Le nuove generazioni hanno già più facilità ad approcciarsi a tutto ciò, la rete ti mette on line tutto disponibile e puoi ricevere un sacco di stimoli, gli strumenti (arpe di ogni genere) sono più diffusi e reperibili, in più le generazioni precedenti con cui ti puoi confrontare hanno già fatto un pezzo di strada. Il consiglio è quello di capire con il tempo quello che più ti gratifica e ti dona belle sensazioni e costruirti il tuo percorso. L’arpa elettrica può essere un mezzo in più a disposizione.

Oltre naturalmente allo studio dell’arpa cosa è bene approfondire per una strada come la vostra? Armonia? Improvvisazione? Tecniche di amplificazione?….

M: Sì, tutto quello che hai elencato è fondamentale ma mi devo ripetere, la prima cosa è l’ascolto. Ascoltare molta musica e trovare i propri musicisti di riferimento. Un altro consiglio per il jazz è suonare con altri musicisti, fa bene ed è divertente, che non guasta.

R: Aggiungici anche composizione, arrangiamento, ogni cosa che si approfondisce mette a disposizione più frecce al proprio arco, quindi tutto è utile. Fondamentale però è che si faccia esperienza di tutto ciò, solo con quella maturi un tuo gusto, una tua visione. Se penso all’arpa elettrica, esempio che hai citato, la suono sicuramente in un modo mio personale che è diverso da quello di altri, negli anni ho maturato una cifra stilistica che caratterizza il mio suono, il mio modo di comporre etc, e che comunque continua ad essere in evoluzione.

Vi dedicate anche alla didattica ed all’insegnamento con Master e Corsi?

M: Tempo fa ho deciso di non insegnare in modo continuativo, ho bisogno di essere libera di accettare concerti anche lontani senza dover spostare lezioni. Ma faccio masterclass, corsi e lezioni private in diverse città. Tra le cose belle fatte quest’anno ho fatto una masterclass a Castelnuovo Rangone (MO) da Davide Burani e due incontri nella scuola d’arpa Viggianese (una perla rara nel panorama della musica popolare e un unicum per quanto riguarda l’arpa in Italia, lasciatemi dire che quei ragazzi, il direttore Vincenzo Zitello, i docenti, il comune e genitori tutti stanno facendo un lavoro incredibile).

R: Ho insegnato per 15 anni fino a giugno dell’anno scorso in diverse scuole civiche e private, poi per diversi motivi (bisognerebbe dedicare un’intervista ad hoc sull’insegnamento..)mi sono preso un po’ di pausa per investire sui progetti creativi. Continuo invece con eventuali seminari nei Conservatori o nei Festival: quello sulla storia dell’arpa paraguaiana e delle altre realtà sudamericane, e quello, chiestomi recentemente, sull’arpa elettrica ed effettistica, che penso imposterò sulla mia esperienza, e non su un linguaggio tecnico specifico, che non mi appartiene.

Tempo libero forse non ne avrete moltissimo…ma qualche passione, hobby o svago fuori dall’ambiente musicale ve lo concedete?

M: Non solo arpa e musica, ci mancherebbe. Io cerco per quanto possibile di staccare la spina una volta a settimana. Vivo a Roma da soli tre anni e mi diverte viverla da turista, musei, parchi, è una meraviglia. Ma anche cinema, libri e non ultimo curare le amicizie, negli ultimi 15 anni ho vissuto in 5 città diverse e mi piace tenere i contatti con gli amici.

R: Il bello è che puoi gestirti il tempo e scegliere con chi condividerlo, ma alla fine non te ne rimane molto perché sei manager di te stesso e quindi devi curare e seguire tutto. Nel training settimanale ho sacrificato qualche ora di studio all’arpa, in favore di una pratica sportiva, (nonostante la pigrizia, nel mio caso palestra), che considero fondamentale per la nostra professione. Per il resto con due bimbe piccole sono papà quasi a tempo pieno…

Una follia che avete fatto per l’arpa?

M: Decidere di starle affianco dall’età di 5 anni agli attuali 41 ed avere ancora una voglia matta di suonare.

R: Beh, comprarla è già una follia, no? Se poi ti serve una classica, una elettroacustica, una elettrica, una celtica, una sudamericana…per non parlare di effettistica, amplificazione etc… Se ci pensi, agli occhi degli esterni forse sembriamo un po’ tutti folli per cose che oramai come arpisti diamo per scontate: centinaia di km di notte per rientrare dopo un concerto, oppure aerei presi al volo un giorno con l’altro per due concerti a 1000 km di distanza, carichi e scarichi di arpa in luoghi e orari impensabili magari con pioggia o neve…

Una cosa che rifareste in campo musicale?

M: Credo che rifarei tutto quello che ho fatto, dal mancato proseguimento dello studio della composizione (volevo fare la direttrice d’orchestra), alle session di musica irlandese, ai laboratori di musica per bambini e alle collaborazioni improbabili che oggi mi fanno sorridere.

R: Sono di natura curioso e quindi anche in campo musicale sono attratto e cerco di realizzare esperienze che non ho ancora fatto.

Credete e lottate ancora per i vostri sogni anche se molti si sono esauditi?

M: Certo che sì, quando non avrò più sogni musicali smetterò di suonare. Mi piace l’idea di guardare avanti, mi fa suonare con più tranquillità. So che domani potrei essere ancora un po’ più brava, dipende da me.

R: Mi interessa di più il viaggio che non la meta, per cui creare sogni da realizzare è una necessità. Creare le condizioni per realizzarli, ma cercare anche di avere la giusta flessibilità e apertura d’animo per adattarsi strada facendo perché non si sa mai cosa la vita ti mette davanti.

Il complimento o la frase più bella che ricordate vi abbiano detto?

M: Qualche anno fa in mezzo a musicisti grandiosi di cui ho una stima immensa uno di loro ha detto “Ma Marcella non è un’arpista…” quasi ci rimanevo male, poi ha aggiunto “Marcella è una musicista”. L’arpa è uno strumento meraviglioso ma per me è un mezzo per fare musica, è questo l’obbiettivo.

R: Ho poca memoria per queste cose, anche se mi rimangono magari i volti, i sorrisi, le sensazioni che ti lasciano i complimenti, però ti posso citare proprio gli ultimi che mi sono arrivati tramite Facebook o mail per Harpscapes: “Hai dimostrato che Mente e Cuore sono connessi e che insieme portano a grandi risultati”, oppure “non so descrivere a parole, e ciò che non si riesce ad esprimere sono le cose più belle, ma la tua musica mi dà speranza” .

La musica che più vi tocca il cuore?

M: Quella suonata con onestà, dove si capisce che i musicisti si stanno emozionando con te.

R: Non ho ancora scoperto se c’è una regola, se a uno stato d’animo preponderante si relazionano alcune musiche, o altro, ma davvero mi capita di sentire qualcosa di qualsiasi genere, una melodia, un timbro di voce, un tipo di sound che mi entra subito “sottopelle” e mi emoziona fortemente. Forse dove sento che c’è Mente e Cuore? dove c’è artigianalità e creatività, perizia e arte, con una tendenza sempre verso l’essenzialità.

Cosa avete adesso in “cantiere”?

M: Rientro proprio ora (scrivo in treno Milano-Roma) dalla registrazione del mio nuovo progetto, il disco uscirà ad ottobre per l’etichetta Abeat. È un quartetto con Francesca Corrias, Yuri Goloubev e Francesco D’Auria; voce, contrabbasso e batteria. Ospite per tre brani c’è anche l’armonica di Max De Aloe. Sono molto felice del risultato, sarà un disco dove tutti gli strumenti trovano il loro spazio e credo si sentirà il carattere dei singoli musicisti.

R: Adesso sono in lavorazione per l’uscita e la promozione del cd Harpscapes e per la presentazione a fine giugno della parte visuale che sarà davvero innovativa per il mondo dell’arpa. Cerco sempre di non cadere nel performativo e concettuale con l’utilizzo di queste tecniche a supporto della musica senza che risultino preponderanti.

Sto poi completando lo studio del programma per arpa classica di nuove composizioni di autori italiani, programma che presenterò anch’esso a Sydney.

Dove possiamo tenerci aggiornati sui vostri eventi per potervi seguire?

M: Sicuramente sul mio sito www.marcellacarboni.com, ma anche sulla mia pagina facebook.

R: sul sito www.raoulmoretti.it oppure su Facebook . Grazie Alessandra per le domande e per lo spazio, è stata un’ottima occasione di riflessione su sè stessi, sperando di aver dato qualche spunto utile agli altri. E un bacione a Marcella.

Marcella

Raoul 1


Questo articolo é stato pubblicato da
Alessandra Ziveri www.alessandraziveri.com