Storia dell'arpa

Testimonianze di Elena Zaniboni

 

Pubblichiamo queste testimonianze che ci ha inviato Elena Zaniboni.

Manifesto “Primo Concorso Internazionale d’Arpa” Accademia Nazionale di Santa Cecilia 28 Settembre ‘81

Conservo un manifesto storico con gli scritti di

-Phia Berghaut: “C’est merveilleuse à Rome avec mes Amises.”

-Nicanor Zabaleta: “Merci par cette merveilleuse hospitalité”.

-Haron Yarack: “ Thanks for a most enjoyable evening”.

-Pier Jamet: “Avec mes sentiments les plus sincer”.

-Susan Mc Donald: “Je mange très vite”.

-Gatti Aldrovandi: “Felicissima per questa magnifica serata”.

E la firma di Mario Zafred.

“Ecco quello che ricordo della mia illustre insegnante Clelia Gatti Aldrovandi. Era estremamente autoritaria. Non ammetteva discussioni e si compiaceva di raccontare che una volta, venuta a un mio concerto in camerino, non essendole piaciuto il mio vestito perché , secondo lei era un po’ corto, prese delle forbici e tagliò tutto l’orlo. Non aveva idea del valore del denaro e condusse sempre un altissimo tenore di vita.

Purtroppo non aveva un buon rapporto con la figlia Vanna e tutte e due facevano a gara a chi spendeva di più. Gli ultimi anni della sua vita furono molto tristi. Diceva che, se non ci fossi stata io a ricordarla, si sarebbe sentita già morta. Conservo gelosamente tutte le sue lettere di più di 60 anni e mi confidava le cose più intime. Quando la figlia Vanna si sposò (con una persona inadeguata) mi fece testimoniare alla Sacra Rota per ottenere l’annullamento del matrimonio della figlia. Si ridusse economicamente così male che vendette tutti i quadri meravigliosi che aveva, oltre a vendere la casa di Grottaferrata. Si ridusse a chiedere il sussidio della legge Bacchelli. Ma non le bastava mai il denaro. Ricordo di averla incontrata in ristorante per mangiare un pezzo di formaggio. Non è mai entrata in cucina e mangiava sempre in ristorante. Per prendere un the, andava solo da Babington in piazza di Spagna. Bellissima e sempre elegante (vestiva solo abiti griffati) era molto affascinante e molto sicura di sé. Per studiare i concerti e le musiche per arpa sola a lei dedicate, partivo ogni lunedì da Napoli, dove avevo vinto a 19 anni il concorso di prima arpa. Pur avendo un considerevole stipendio, aspiravo a fare la concertista e quindi sacrificavo il giorno di riposo dell’orchestra per andare a studiare con lei.

Del grande Nicanor Zabaleta, posso dire che era molto garbato nell’insegnamento e suonava egli stesso i numerosi brani spagnoli che ho avuto il privilegio d’imparare da lui. Molto generosamente mi ha spiegato come si eseguono i trilli nel concerto di Mozart. E , come si può immaginare, conservo gelosamente questa lettera. Il concerto per flauto e arpa K299 è stato scritto da Mozart a 22 anni. Abbandonata Salisburgo perché insofferente delle vessazioni dell’arcivescovo Colloredo e passato da Monaco, Augusta e Mannheim, approda nuovamente a Parigi dove, fanciullo prodigio, aveva goduto del favore e dell’ammirazione di artisti, nobili e letterati. Da allora, però, sono passati più di dieci anni ed il nuovo volto della capitale francese non è così benevolo nei confronti di Mozart che credeva di trovare fortuna e nuove affermazioni.

Il concerto di Mozart K299 è stato scritto nella primavera del 1778 su commissione di un personaggio altolocato, il duca di Guines, ex ambasciatore di Francia a Londra. Il duca suonava il flauto e la figlia l’arpa. Per sbarcare il lunario Mozart dava lezioni di composizione alla figlia del duca ed accettò di scrivere il concerto pur non piacendogli né il flauto né l’arpa. Invece amava il clarinetto per cui ha lasciato un concerto che può essere definito un monumento a questo strumento. Per noi arpisti è una risorsa avere in repertorio un nome famoso ed eseguito da secoli in tutto il mondo. Scrivendolo, Mozart ha anche contraddetto Rimsky Korsakov, che definisce l’arpa strumento “quasi esclusivamente armonico o d’accompagnamento”. Da quel genio che era, Mozart, grazie alla sua straordinaria facilità compositiva, fa dialogare i due strumenti solisti anche con l’orchestra. In quell’epoca l’orchestra suonava in piedi, in uno stile elegantemente concertante. Poi, però, quando noi arpisti ci accingiamo a studiare Mozart, ci rendiamo subito conto della difficoltà interpretativa che ogni frase ci pone. Intanto per il flauto certi passaggi risultano più facili tecnicamente che per l’arpa e poi è più facile “cantare” mentre noi arpisti arranchiamo cercando di “cantare” con le dita e contemporaneamente risolvendo passaggi cromatici con i piedi ( pardon, con i pedali).

Il primo tempo é “Allegro”. Nella mia musica, consumata dallo studio e in vari punti incollata, ho segnato varie indicazioni metronomiche. Da giovane partivo allo sbaraglio, poi, via via maturando, ho capito che in Mozart “Allegro” significa lo spirito con cui si suona e non la velocità. Il secondo tempo è “Andantino”. Che cosa voleva Mozart? Un tempo scorrevole ma non troppo. Gli accordi all’inizio sono segnati p, ma sono preceduti dagli archi segnati f. Che cosa deve essere in battere: il quarto dito della mano sinistra o il pollice della mano destra?

Il terzo tempo è “Rondò-Allegro”. Una delle tante difficoltà da superare è di fare la distinzione fra “legato” e “puntato”. Si potrebbe parlare all’infinito anche dei trillli.

Ho studiato con il grande Nicanor Zabaleta all’Accademia Chigiana. Come si può vedere, mi scrive da Hannover come si eseguono i trilli, criticando le/gli arpisti che eseguono i trilli “fast”. Come sappiamo, esistono vari tipi di trillo. C’è il trillo di Bach, il trillo per Haendel, il trillo per Bach, il trillo per Mozart e così via. La lettera è del 31 ottobre 1963.

Così, come altrettanto gelosamente, conservo la foto con dedica di Sandor Vegh. Sandor Vegh, celebre come violinista e musica da camera, nel 1940 lasciò il Quartetto Ungherese per fondare il Quartetto Vegh, con cui nel 1946 abbandonerà l’Ungheria. Nel 1953, assunta la nazionalità francese, continuò le tourné e anche in veste di direttore. L’ho conosciuto a Città di Castello, dove entrambi tenevamo lezioni di perfezionamento. Alla fine dei corsi, sotto la sua direzione, suonai il Concerto K299 per arpa, flauto e orchestra

Di Mozart (flautista Conrad Klemm e la Camerata Academica del Mozarteum di Salisburgo). Nel 1980 Vegh m’invitò a suonare il medesimo concerto proprio al Mozarteum di Salisburgo, dove, dal 1979, lui era il direttore della Camerata Academica. Suonare in quel tempio della musica e prodursi proprio in Mozart, che lì è il compagno della vita di tutti, fu per me un’emozione senza precedenti. Racconto questa emozione e la descrivo ne “Le corde dell’anima”, libro pubblicato nel 1914 da Curci (Milano). Sapevo perfettamente che Salisburgo è famosa in tutto il mondo grazie all’omonimo festival, tra i più prestigiosi sia per l’altissima qualità sia per la partecipazione di artisti e di pubblico internazionali. Già nel mettervi piede, percepii la considerazione in cui si tiene l’arte dei suoni. Nelle vetrine dei negozi furoreggiano le foto di Karajan. Addirittura, agli automobilisti che mostravano il biglietto del concerto, i vigili davano la precedenza. Il nome di Herbert von Karajan era indissolubilmente legato al Festival, che, sotto la sua guida, era diventato ancora più internazionale e meta di folle di appassionati. Avevo spedito un’arpa a Salisburgo e un’altra a Torino perché avevo un concerto alla RAI, ed essendo i concerti vicini come date non avrei fatto in tempo ad arrivare per le prove. Ebbene, nonostante questa precauzione, la mia arpa diretta a Salisburgo venne fermata per controlli alla dogana italiana. Essendo chiuso il cassone, gli imbranati doganieri me la sequestrarono e la trascinarono non so dove trattenendola a lungo per aprirla. Mi fecero perdere una prova. A Salisburgo si scandalizzarono perché- mi assicurarono- i loro finanzieri non si sarebbero mai permessi di aprire la custodia di uno strumento senza la presenza del proprietario. Sandor Vegh aveva un’eccezionale musicalità. Dirigeva Mozart non per battere il tempo, ma per disegnarne la linea melodica. Unica pecca la sua eccessiva sudorazione che, mentre dirigeva, diventava indescrivibilmente nauseabonda. Senza esito alcuno, io cercavo di posizionare l’arpa in modo da non riceverne direttamente gli effluvi. Tali zaffate non ci azzeccavano per davvero con Mozart,il “divino fanciullo pur fanatico delle più sconce invereconde, scritte e vissute. Grazie a Dio, noi ascoltiamo solo la sua musica, così come io mi sforzavo di sentire esclusivamente l’interpretazione di Vegh. Una sera, questi e la moglie invitarono me e varie personalità del Mozarteum a cena a casa loro. Qui mi colpì un tavolo rotondo con incorporati quattro leggii. Non ne avevo mai visto uno, mentre in Austria è piuttosto diffuso, data la consuetudine di quel popolo di fer musica da camera tra amici non tanto per professione, quanto per pura esigenza spirituale. Andavo al Mozarteum un paio d’ore prima delle prove per accordare l’arpa e per studiare,e qui trovavo già l’orchestra che ripassava con il primo violino. In verità, loro non ripetevano le note in se stesse, ma mettevano a punto il peso di un accento e un pianissimo e così via: abitudine ignota in Italia, dove la maggior parte

dei professori , arriva all’ultimo momento. La dedica di Sandor Vegh recita: Per la grande artista Elena Zaniboni con ricordo pieno di ammirazione. Cordialmente Sandor Vegh. Anche questa foto del concerto al Mozarteum di Salisburgo è nel mio libro.

Di Pier Jamet conservo le lettere di quando andava a Gargilesse. Conservo anche le dediche di altri direttori, per es. Peter Maag.” Elena Zaniboni

 


Questo articolo é stato pubblicato da
Redazione Redazione di IN CHORDIS, la rivista online dell'Associazione Italiana dell'Arpa.