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Vito Giuseppe Millico e le sue sonate per arpa

Integriamo l’articolo di Alice Talignani, artefice anche del libretto oltre che della pubblicazione per Ut Orpheus, segnalando l’uscita del CD TACTUS  che presenta tutte le Sonate per arpa sola di Vito Giuseppe Millico, a cui si accosta il Duetto per arpa e violino, ritrovato manoscritto a Vienna e dedicato alla principessa di Borbone. Si tratta di una composizione in cui l’arpa non figura come un semplice strumento di accompagnamento, ma svolge un ruolo fondamentale nel dialogare con il violino. Fanno parte dell’Album anche otto Canzonette (prima pubblicazione a Londra nel 1774) con accompagnamento di arpa. Che esse fossero primariamente pensate per l’arpa e che la commutabilità dello strumento (clavicembalo o chitarra) avesse il mero scopo di raggiungere un pubblico più ampio, lo dimostra il racconto del pittore ed architetto Johann Christian von Mannlich che nelle sue Mémoires ricorda una serata a casa di una nobildonna parigina, in cui era stato chiesto a Millico di interpretare alcune delle sue composizioni; egli si era scusato dicendo che non avrebbe potuto eseguirle, dato che non aveva un’arpa a disposizione, strumento al quale aveva destinato l’accompagnamento. I testi scelti, di cui non si conosce l’autore, dal momento che nelle pubblicazioni di questo tipo solo raramente il nome del poeta compariva accanto a quello del compositore,  trattano principalmente delle pene d’amore dei pastori per le loro ninfe, in un idealizzato mondo bucolico. I brani scelti per il presente CD (tratti da quattro differenti raccolte) intrecciano, nel loro susseguirsi, la languida storia d’amore di un pastorello, dapprima illuso e poi respinto dalle belle ninfe che popolano i boschi d’Arcadia. Interpreti di questa monografia che sarà disponibile durante il Festival Internazionale di Saluzzo Suoni D’Arpa (2-7 Settembre 2017) e da Ottobre presso la Tactus, sono l’arpista Emanuela Degli Esposti, il soprano Miho Kamiya e la violinista Daniela Nuzzoli. Il CD (total time 70:56) è stato registrato nel Castello Delizia di Belriguardo a Voghiera (FE). 

In copertina il dipinto di Jean-Honoré De Fragonard “La fontana dell’Amore” (1785)

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Vito Giuseppe Millico (Biblioteca e Museo Internazionale della Musica di Bologna)

Vito Giuseppe Millico e le sue sonate per arpa

di  ALICE  TALIGNANI

Tra i tesori conservati alla Musiksammlung della ÖsterreichischeNationalbibliothek di Vienna fa capolino un volume manoscritto il cui frontespizio recita: «Sonate d’Arpa di D. Giuseppe Millico».[1]

Millico: nome nuovo nel panorama arpistico, meno sconosciuto in quello operistico e canzonettistico. Il nostro compositore nacque a Terlizzi presso Bari il 19 gennaio 1737. Come spesso accadeva nelle famiglie pugliesi di umili condizioni, fu destinato all’evirazione e mandato a studiare canto in uno dei conservatori di Napoli, probabilmente al Sant’Onofrio, dove più tardi tornò ad insegnare armonia e contrappunto. La formazione che vi ricevette non risultò tuttavia adeguata ad intraprendere la brillante carriera per cui la sua virilità era stata sacrificata. Non avendo alternative, Millico si esercitò a tal punto da riuscire a migliorare notevolmente la qualità della sua voce e a passare dal registro di contralto a quello di soprano. Contro ogni aspettativa riuscì quindi ad intraprendere una carriera che lo portò ad esibirsi sulle maggiori piazze d’Europa: dopo il debutto a Roma nel 1757, tappa importante per l’avvio della sua carriera fu il soggiorno a San Pietroburgo quale membro della troupe operistica italiana del teatro di corte, che costituì il suo primo ingaggio a lungo termine (1758-1765) e al ritorno dal quale gli fu attribuito l’appellativo di Moscovita.[2] Ma l’evento cardine della sua vita fu l’incontro con Christoph Willibald Gluck a Parma nel 1769, in occasione dei festeggiamenti per le nozze tra il duca Ferdinando e Maria Amalia d’Austria. Millico interpretò la parte di Anfrisione nel Prologo e quella di Orfeo nell’ultimo atto di Le feste d’Apollo, parte che fu trascritta per lui nel registro di soprano. Questo primo incontro con Gluck fu l’inizio di una lunga amicizia che ebbe reciproci influssi sull’attività artistica dei due musicisti, soprattutto durante il soggiorno di Millico a Vienna (1770-1771), ospite in casa  Gluck: se da un lato Millico, stimolato dalle idee riformatrici del maestro tedesco, sviluppò quelle grandi doti attoriali ed espressive che, più di quelle virtuosistiche, gli garantirono il successo, dall’altro lato il cantante terlizzese ebbe un certo peso sia quale interprete delle opere gluckiane, sia quale modello, vocale ed espressivo, per la creazione di nuovi ruoli, come quello di Paride nel Paride ed Elena (1770).

Ritiratosi dalle scene, nel 1780 entrò al servizio della corte di Napoli, dove rimase fino alla morte, che lo avrebbe colto il 2 ottobre 1802. Qui, con la tranquillità garantitagli dall’impiego presso la corte borbonica, Millico si dedicò più seriamente alla composizione, attività con la quale aveva probabilmente cominciato a cimentarsi a Londra (1772-1774). Pur non abbandonando mai il genere minore delle canzonette, con cui aveva esordito e che costituisce la parte più cospicua della sua produzione, iniziò a misurarsi con generi di più ampio respiro, quali il dramma per musica (particolarmente degni di nota sono La pietà d’Amore, su libretto di Antonio Lucchesi, e Ipermestra o Le Danaidi, soggetto fornitogli da Ranieri de’ Calzabigi), il dramma sacro e l’azione teatrale. La sua produzione annovera inoltre musica strumentale, sia solistica sia d’insieme: sonate per clavicembalo, preludi e sonate per arpa, duetti per arpa e violino, che egli compose con ogni probabilità a scopo didattico. Per l’insegnamento, sia in ambito vocale che strumentale, pare che egli avesse una rara predisposizione, sperimentata in primo luogo su se stesso una volta uscito dal conservatorio ed abbandonato da tutti gli insegnanti. Il secondo miracolo che gli era riuscito era stato quello di rendere all’ammirazione dell’Europa la voce della nipote di Gluck, Marianna, inizialmente sottovalutata dallo zio. Cominciò e concluse la sua carriera didattica calcando i parquet dell’aristocrazia: a San Pietroburgo aveva ricevuto l’incarico di dare lezioni di clavicembalo allo zarevič Pavel Petrovič, mentre a Napoli furono sue allieve di canto Emma Hamilton e le principesse Borbone Maria Teresa e Maria Luisa. Maria Teresa apprese inoltre da lui a suonare l’arpa, così come la sorella minore Maria Cristina. Il necrologio di Millico riporta tuttavia che, nonostante la cecità che lo aveva colpito negli ultimi anni della sua vita, «non si degnò pure di occuparsi assiduamente ad istruire chiunque mostrava genio per la Musica, soccorrendo ancora generosamente, chi dalle povertà sarebbe stato impedito di applicarsi a tale studio».[3]La versatilità di Millico è da attribuirsi alla poliedrica formazione ricevuta dai giovani cantanti dei conservatori napoletani, che comprendeva lezioni di strumento e di composizione. Non è chiaro tuttavia in che modo egli avesse imparato a suonare l’arpa, sulla quale si accompagnava nell’eseguire le sue canzonette (l’arpa non entrò a far parte della regolare istruzione conservatoriale di Napoli sino alla terza decade dell’Ottocento). È verosimile che egli si fosse formato su di un’arpa ‘viggianese’, tipica della tradizione popolare napoletana, e che solo più tardi, grazie agli ingaggi operistici europei, avesse conosciuto l’arpa a pedali. Pensando a questo tipo più sofisticato di arpa egli compose i duetti per violino ed alcune delle sue sonate, mentre la maggior parte di queste ultime, così come l’accompagnamento delle canzonette, sono tranquillamente eseguibili anche su di un’arpa dotata di un meccanismo ad azione manuale. Ciò nonostante, se si considerano le sonate nel loro insieme come repertorio di utilità didattica, è possibile vedere anche in quelle più semplici una proiezione, in senso propedeutico, verso l’arpa a pedali.Egli potrebbe dunque essere considerato, insieme a Leonardo Primavera, uno dei primi insegnanti di arpa a pedali in Italia. A differenza di Primavera tuttavia, non sembra che egli si fosse mai esibito come arpista solista. Piuttosto, le testimonianze dell’epoca lo ricordano nell’atto di cantare accompagnandosi sul suo strumento prediletto e,non a caso, il letterato napoletano Francesco Saverio De Rogati così lo definisce: «maestro di musica, ed uno de’ primi cantori d’Italia sull’arpa».[4]Il volume di Vienna è di probabile provenienza napoletana.In esso sono rilegate cinque raccolte di sonate, redatte per la principessa Maria Teresa di Borbone, che le portò con sé a Vienna quando andò in sposa all’arciduca Francesco. Si può quindi circoscrivere la loro stesura in un arco temporale compreso tra il 1780, primo anno di servizio di Millico presso la corte borbonica, ed il 1790, anno delle nozze della futura imperatrice d’Austria. Oltre alle sonate sono presenti cinque  brevi esercizi, che, in un’edizione a stampa londinese a cura di Edward Jones, vengono denominati ‘preludi’. Molte di queste sonate furono infatti pubblicate in due raccolte a stampa a Londra rispettivamente nel 1791 e nel 1820 ca., secondo quanto riporta il catalogo della British Library, dove sono attualmente conservate. La prima, un esemplare della quale è conservato anche alla Central Library di Leeds, è intitolata Musical trifles. A collection of sonatine, for the harp, or harpsichord; composed by Sig.r Giuseppe Mellico.[5] Adapted and published for the use of his scholars, to whom they are respectfully inscribed, by Edward Jones, harpist to the Prince of Wales;[6] la seconda Two favorite sonatinas for Juvenile performers on the harp by M. Millico.[7]In quegli anni Millico si trovava già da lungo tempo a Napoli. Ma la grande fama che si era conquistato durante il suo soggiorno londinese ed il cosmopolita ambiente partenopeo gli permisero certamente di non essere dimenticato nella capitale britannica: l’ambasciatore sir William Hamilton si prodigava per far conoscere gli artisti locali ai compatrioti in visita a Napoli (tra cui Charles Burney, che stava raccogliendo materiale per la sua General history of music from the earliest Ages to 1789),[8]organizzando spesso serate musicali in casa sua. Non bisogna inoltre dimenticare che l’ambasciatore inglese fece impartire a Millico lezioni di canto alla sua seconda moglie, Emma Hart. È quindi altamente verosimile che copie delle sue sonate avessero attraversato la Manica grazie agli Hamilton o a Burney.

Le sonate di Millico rappresentano una tessera di quel mosaico della produzione italiana per arpa che pian piano sta riaffiorando. Per approfondimenti sul compositore, la sua produzione, i rapporti tra le raccolte manoscritte e quelle a stampa di sonate per arpa, si rimanda alla tesi di laurea di chi scrive, conservata presso la biblioteca della facoltà di Musicologia di Cremona.[9]

[1] A-Wn, Mus. Hs. 12730.

[2]Moscovia era uno dei termini usati allora per indicare la Russia.

[3]Gazzetta Napoletana Civica Commerciale, 12.10.1802.

[4]Francesco Saverio De Rogati, Le odi di Anacreonte e di Saffo recate in versi italiani da Francesco Saverio De’ Rogati, vol. I, Angiolo Martini e Comp., [Colle] [1782], Discorso preliminare, p. 16.

[5] In entrambe le copie è stato corretto a matita inMillico.

[6] GB-Lbl, Music Collections b.52.(2.); GB-LEc, 787.5 M62.

[7] GB-Lbl, Music Collections h.184.e.(3.).

[8]Harold Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Aldo Martello Giunti, Milano-Firenze [1974] (ed. orig.: The Bourbons of Naples, Methuen& Co., London 1957), pp. 181-182.

[9]Alice Talignani, Le sonate per arpa di Vito Giuseppe Millico, studio ed edizione critica, tesi di laurea Università degli studi di Pavia, Cremona 2013.

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Questo articolo é stato pubblicato da
Redazione Redazione di IN CHORDIS, la rivista online dell'Associazione Italiana dell'Arpa.